Mario Chiesa, la storia del “mariuolo isolato” che diede inizio a Mani Pulite

Si potrebbe pensare che le grandi rivoluzioni debbano forzatamente iniziare con un evento epocale, un fatto così importante da rappresentare un punto di rottura tra il primo e il dopo. Peccato che ciò accada solo nei film. La vita reale scorre in balia della casualità, vittima di dinamiche che di leggendario hanno poco o nulla. Un esempio è Mani Pulite. Il primo capitolo della saga che tenne col fiato sospeso la Repubblica Italiana ebbe come protagonista un “mariuolo”, parecchi milioni di lire in contanti e… un gabinetto. L’evento in questione ha fatto scalpore non solo perché faceva luce sulle pratiche illegali a cui i partiti erano dediti, ma anche perché, in fin dei conti, si riduceva a una scena comica, se non addirittura ridicola.

Milano, 17 novembre 1992. E’ una mattinata fredda quella che accoglie l’ingegnere Mario Chiesa. Politico di spicco del Psi Milanese, è presidente del Pio Albergo Trivulzio. E’ anche un corrotto seriale, e da tale si comporta anche quel giorno. Riceve nel suo ufficio il responsabile di una ditta di pulizie, tale Luca Magni. I due sono legati da un accordo: Chiesa gli farà vincere un appalto e Magni “donerà” al politico il 10% dei proventi dell’appalto stesso. Non sono termini casuali: a quel tempo, le cose funzionavano così. Era il modo con cui i partiti si finanziavano.

Ad ogni modo, i milioni quella mattina sono sette anziché quattordici, ma Chiesa è magnanimo: acconsente a rateizzare la mazzetta. Mentre i due si stanno ancora parlando, fanno irruzione i carabinieri.

Chiesa è spacciato. Magni l’ha incastrato. L’imprenditore, stufo di pagare per poter lavorare, si era messo d’accordo con il pool capeggiato da Antonio Di Pietro e, insieme, avevano orchestrato tutto per cogliere il flagranza di reato il politico del Psi.

Fin qui, niente di comico. Il “bello”, se così si può definire, avviene una volta che i carabinieri sono entrati in stanza. Chiesa afferra una valigetta e scappa verso il bagno. In quella valigetta “riposano” trentasette milioni, frutto di un’altra tangente. Il politico cerca di riversare la mazzetta nel gabinetto, in modo che non possa essere colto in flagranza di un reato ancora più grande. Centomilalire dopo centomilalire, la tangente si alleggerisce ma niente da fare. Questa volta Chiesa è rimasto vittima della sua ingordigia: le banconote sono troppe, e i carabinieri fanno in tempo a entrare e a vedere tutto.

Il fatto, come anticipato a inizio articolo, fece scalpore. Si può affermare che fu proprio questo evento ad aprire le porte di un mondo che gli italiani manco si immaginavano: un mondo corrotto da azioni criminali e finanziamenti illeciti.

La politica all’inizio cercò di negare l’evidenza. Bettino Craxi, in particolare, fu il più convinto assertore della teoria della “scheggi impazzita”. Mario Chiesa rappresentava un unicum, una eccezione, un “mariuolo isolato”, come lo definì lo stesso presidente del Consiglio.

E invece faceva parte di un sistema, di cui lui, tra l’altro, non era nemmeno uno degli ingranaggi più importanti. Il resto è storia.

Una storia, purtroppo per l’Italia, ancora lungi dall’essere conclusa.

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