Il lobbismo in politica favorisce la corruzione?

Il lobbismo è un’attività considerata sporca, viatico di possibili fenomeni corruttivi. E’ una percezione piuttosto diffusa e fa il paio con quella che vede i politici come portatori di interessi personali o di un’elite ristretta.

Tecnicamente, il lobbismo è una professione vera e propria che nulla ha a che fare con la corruzione. Di per sé, non compromette il normale – e lecito – svolgimento delle funzioni legislative. I lobbisti sono “portatori” di interesse (di associazioni, enti, aziende) il cui scopo è quello di convincere il legislatore ad attuare o modificare una specifica normativa. Alla strenua di un sindacato che fa pressione sul Governo affinché promuova un provvedimento, l’incaricato delle lobby fa pressione sui parlamentari affinché questi realizzano riforme funzionali al raggiungimento dell’obiettivo del suo cliente. L’unica vera grande differenza – sempre a livello teorico – è che gli interessi “portati” dai lobbisti sono più parziali di quelli portati dagli altri influencer.

I lobbisti assolvono in linea di massima a una funzione sociale importante: la rappresentanza. E’ il gioco degli interessi che è, alla fin fine, il sale della democrazia.

Finché le attività di lobbying avvengono alla luce del sole, non sussistono particolari problemi. Gli elettori sanno che il politico x comunica con il lobbista y e lo giudica anche in base a questi elementi. Quando queste attività non sono trasparenti, il rapporto tra politico e portatore d’interesse può degenerare. E’ la concretizzazione al contrario del famoso concetti secondo cui “se illumini il ladro, non ruba più”. L’oscurità è in questo caso alleata preziosa di chi vuole violare i principi del lobbismo e, di conseguenza, commettere reati.

Purtroppo, questa mancanza di trasparenza è favorita – paradossalmente – dalle lacune legislative tipiche dell’Italia. Semplicemente, quest’attività non è regolamentata. Nella ampie maglie che formano la normativa sulle lobby, è facile che si infilino soggetti poco raccomandabili.

E’ dunque una questione sia di persone (come sempre) che di legislazione. La maggior parte dei lobbisti vorrebbe un cambiamento dell’assetto attuale. E’ di questo avviso Giuseppe Mazzei, lobbista “da Parlamento” con esperienza decennale. “è da tempo che chiediamo una legge che regolamenti il settore e che valga per tutti gli operatori. Abbiamo fatto una nostra proposta che abbiamo inviato anche al presidente del Consiglio Renzi” ha dichiarato in una recente intervista all’avvenire.

La proposta consiste innanzitutto in una sorta di registro dei lobbisti, in modo da rendere riconoscibili coloro che si macchiano di un comportamento poco consono.

Intenzione è anche quello di vincolare i lobbisti censiti a un codice deontologico. Per ora la pratica del vincolo è facoltativa. Mazzei vorrebbe estenderla, anche perché si tratta di una serie di linee guida in grado, se rispettata, di allontanare il pericolo corruzione: “Il codice prevede il massimo di trasparenza. Non devono occuparsi di appalti e gare. Non devono avere conflitti di interesse. E devono fare attenzione alla questione delicatissima dei finanziamenti ai partiti. I nostri associati hanno l’obbligo rigoroso di astenersi da finanziare partiti o candidati, in qualunque forma”.

Mazzei ha anche tenuto a ribadire l’importanza che ricopre la sua professione. Importanza che si esplicita anche nella funzione di consulente: “Spieghiamo ai politici le possibili conseguenze per settori dell’economia o della società civile di una legge scritta male. Il parlamentare non può sapere tutto. L’ascolto delle esigenze di chi opera in settori specifici diventa fondamentale proprio per produrre una buona legislazione”.

Giuseppe Briganti