Roma Capitale dell’italico sistema mafioso (e il Paese sempre più in rovina)

L’ho comprato, gioca con me“. In questa frase pronunciata da Massimo Carminati, ex Nero della Banda della Magliana, capo della Cupola capitolina che spostava i politici e gli amministratori locali come pedine soltanto per fare affari e soldi a palate, è il senso della più grande operazione che ha scoperchiato i nuovi sistemi mafiosi italici ormai incancreniti da decenni nel Paese.

«La criminalità organizzata, che nasce politica e si fa affaristica condiziona appalti e persino nomine in giunta, destinazioni di fondi degli assessorati e nomine nelle municipalizzate», dicono i Magistrati romani che hanno indagato insieme ai Ros. Convinti che questa volta hanno fatto centro.

Da analizzare due elementi fondamentali della questione: la mafia politica che nasce in seno ai personaggi storici della criminalità organizzata e si veste di camicia e cravatta, con tanto di laurea all’Estero e Master in Economia non è carnefice e non rende “vittima” il pubblico ufficiale o il politico che si fa comprare, che accetta i 15 mila euro al mese fissi per dettare legge nell’Ama, l’azienda Municipalizzata dei rifiuti.

In questo gioco sporco sin all’inverosimile non esiste una vittima o un carnefice. Sono tutti carnefici e le vittime siamo soltanto noi cittadini.

Il politico, il pubblico ufficiale può ribellarsi, può denunciare subito, può dire di no al mafioso. Se lo fa qualsiasi magistrato, qualsiasi carabiniere o finanziere gli crede subito e organizza la trappola per prendere nella rete il mafioso dal colletto bianco. Ma anche qui a Roma vediamo che non è avvenuto, esattamente come non è avvenuto con la Ndrangheta e i corrotti negli appalti Expo. Perché? Semplice, perché il politico (ovviamente non tutti, ma di certo la maggior parte, stando ai numeri) è esattamente mafioso quanto il mafioso “di nascita” e non rifiuta quelle prebende, quei soldi, quel potere. Non lo fa perché va bene così, perché tanto questa è la prassi, perché soltanto così prende i voti. Ma soprattutto perché nessuno lo controlla e sia lui, che i capi delle municipalizzate, le grandi aziende dove gira il grano vero, quello che ci deruba e ci distrugge, non vengono controllati a monte e possono agire indisturbati e impunemente.

Secondo dato da analizzare: mi direte: «Non è vero, il politico è sotto scacco del mafioso, fa quello che gli dice perché ha paura». Io rispondo che, a parte che non credo assolutamente che il politico abbia timore della vita sua o della sua famiglia se non si comporta da mafioso, perlomeno non al Nord, ma è anche vero che un vero politico onesto sente dentro di sé potente il bisogno di ribellarsi e lo fa. Capita pochissime volte, ma gli esempi ci sono nella storia. Non abbiamo bisogno di altri morti, è vero, ma di esempi sì. Mi viene in mente Giorgio Ambrosoli, in questi giorni ricordato in una splendida fiction su Rai Uno con Pierfrancesco Favino. Non era un politico, ma di certo un uomo messo dalle istituzioni a cercare di risolvere un crack che aveva ridotto migliaia di cittadini sul lastrico. Lui fu vittima di un’organizzazione mafiosa  uguale a quella che ci governa oggi. E fu vittima anche delle Istituzioni corrotte che si guardarono bene dal proteggerlo e lo abbandonarono ai proiettili del killer. Probabilmente già da allora la convinzione che Giogio Ambrosoli fosse uno che “se l’andava cercando”, come ebbe a dichiarare poi, dopo molti anni, Giulio Andreotti, aveva creato, intorno all’eroe, quel clima di distacco e isolamento che uccide, prima delle pallottle, chi con coraggio e profondo senso civico, si schiera a difesa della cosa pubblica. Ma oggi non c’è un Ambrosoli, oggi c’è il salvataggio di Mps o quello dell’Ilva, oggi ci sono i politici e gli amministratori romani che di diventare eroi o soltanto esempi non ci pensano nemmeno.

Laura Marinaro