Le analisi più suggestive di Mafia Capitale

Il terremoto era stato annunciato dallo stesso Pm Pignatone qualche settimana fa ma è arrivato solo il 2 dicembre. Più forte di quanto ci si potesse aspettare. Gli arrestati sono stati 39, gli indagati oltre 100. Tra questi spiccano esponenti politici di rilievo, tra cui l’ex sindaco Gianni Alemanno.

L’ordinanza di custodia cautelare, lunga 1.200 pagine, ritrae una Roma governata – inconsapevolmente, ma fino a un certo punto – da un trittico di potere che nulla ha a che fare con la democrazia e con la sovranità popolare. Men che meno con la legalità.

Una cupola, l’ha definita il Pm Pignatone. Formata, nello specifico, da “pezzi ben coordinati” della criminalità romana, dell’ambiente neo-fascista e della politica dallo “spirito debole e dalla forte vocazione alla corruzione”.

I fatti, secondo l’accusa, sono questi. Il capo dei capi era – forse lo è ancora – una vecchia conoscenza dei romani: Massimo Carminati, ex leader dei Nar (nuclei armati rivoluzionari) e della famigerata Banda della Magliana. Attorno a lui, una rete di militanti dell’estrema destra che fungeva da esecutrici e, soprattutto, un network di contati presso i partiti della Capitale. Scopo della cupola, l’arricchimento personale in pieno stile “do ut des”, anche se è forte il sospetto che dietro ci sia la brama di potere dello stesso Carminati. In alcune intercettazioni, infatti, si pavoneggia attribuendosi l’altisonante titolo di “Re di Roma”.

Il potere di Carminati era esteso e profondo. Era lui a deliberare e ad amministrare Roma. Indirettamente – chissà fino a che punto – aveva l’ultima parola sui bilanci della giunta, sugli esiti degli appalti, persino sulla nomina dei politici alle cariche più strategiche.

Gianni Alemanno era il primo referente politico dell’ex boss della Magliana. Per questo, il sindaco di Roma nel periodo 2008-2013 è indagato con l’infamante accusa di “associazione a delinquere di stampo mafioso”.

Nei giornali si stanno sprecando i commenti e le interpretazioni. Tre sembrano particolarmente suggestivi.

La cupola ha sconfitto la democrazia dell’alternanza. Pignatone informa che il dominio di Carminati non si è fermato con l’uscita di scena di Alemanno. In una intercettazione rivela infatti di avere “nelle sue mani” sei assessori della giunta Marino. Sebastiano Messina di Repubblica reputa questo elemento essenziale. Il virus criminale ha infettato così in profondità da essersi fatto sistema ed essere riuscito a superare le barriere dell’alternanza democratica. La situazione, dunque, non si risolverebbe con nuove elezioni politiche.

La cupola è autoctona. E’ definitivamente sparita quella corrente di “pensatori” secondo cui la mafia sarebbe una questione esclusivamente meridionale. A dimostrazione di ciò è la presenza della Ndrangheta in Lombardia, ma anche la rete creata dalla “cupola romana”. Anzi, a maggior ragione le vicende della Capitale rappresentano un caso emblematico. E’ tutto autoctono, non c’è niente di Cosa Nostra e della Ndrangheta. I criminali romani hanno preso esempio dai cugini più potenti, e hanno assunto la stessa strategia. Fiumi di denaro in tangenti, pacchetti voto. Poca violenza ma tanta paura. Questa è la riflessione di Massimo Martinelli de Il Messaggero.

La cupola mette in discussione il ruolo di Roma. O, meglio, ne conferma le interpretazioni più negative. Quelle che parlano di una Roma “parassita”, per nulla imprenditoriale, preda delle piccole cricche. Secondo, Fabio Martini de La Stampa, questo terremoto è l’occasione per i romani di ripensare al proprio ruolo e di assumere quello di Capitale non solo amministrativa, ma anche culturale e professionale.

Giuseppe Briganti