Corruzione elettorale favorita dal voto di scambio

Il Pm Di Matteo l’ha definita una legge diabolica. E deve esserlo sicuramente, se anziché inchiodare addirittura aiuta chi commette il reato di voto di scambio. La nuova legge sul voto di scambio è stata approvata a fine febbraio, durante le prime settimane di vita del Governo Renzi. Salutata con entusiasmo dal Pd, è stata accolta malamente dal Movimento Cinque Stelle e da buona parte della stampa non schierata (vedi Il Fatto Quotidiano).

Anche i magistrati come Nino Di Matteo hanno storto il naso. Il problema è che, questa legge, da un lato “dà” dall’altro lato “toglie”. Lo fa grazie a un cavillo. Proprio grazie a questo Antonello Antinoro, politico molto famoso in Sicilia, è riuscito a evitare una condanna che il buon senso voleva scontata e sacrosanta.

Il cavillo in questione riguarda le modalità con cui il mafioso raccoglie i voti per il politico. Secondo la nuova legge, affinché il corruttore sia punibile, il corrotto deve rispettare la sua promessa per mezzo di metodi mafiosi. Insomma, se gli elettori non vengono minacciati, percossi o costretti con la forza, il voto di scambio è come se non fosse mai avvenuto.

Questo è un guaio per due motivi. In primo luogo, è difficile dimostrare che i voti siano stati garantiti con l’intimidazione. Serve un lavoro ulteriore di indagine, intercettazioni etc. E non è detto che i rei abbiano lasciato dietro di sé tracce tali da rappresentare una prova dell’agire mafioso. Secondariamente, spesso ai “capi-bastone” non occorre minacciare. Il loro potere in alcune zone è così esteso e profondo, che basta semplicemente “chiedere”. Il rifiuto è una scelta ovviamente gravida di pericoli, ma la forza delle deterrenza spesso riduce i poveri elettori all’obbedienza.

Un esempio di come il voto di scambi rappresenti un buco nel sistema – quanto involontario è ancora da scoprire – è rappresentato dal caso di Antonino Antinoro. Politico dell’Udc, candidato nel 2008 all’Ars, l’Assemblea Regionale Siciliana. Il suo soprannome è “mister preferenze”, assegnatogli proprio in seguito alle elezioni regionali, quando riuscì a “raggranellare” 25.000 voti a suo favore. Una farina non del suo sacco. Antinoro quei voti li ha comprati. Non ci può essere alcun dubbio in questo. Ad accertare la verità è stato Orlando Villoni, relatore della sentenza 36382 con cui la Corte di Appello di Palermo ha rinviato a nuovo giudizio il politico, già condannato a sei anni proprio per voto di scambio mafioso.

“Ai sensi del nuovo articolo 416 ter c. p. le modalità di procacciamento dei voti debbono costituire oggetto del patto di scambio politico-mafioso, in funzione dell’esigenza che il candidato possa contare sul concreto dispiegamento del potere di intimidazione proprio del sodalizio mafioso e che quest’ultimo si impegni a farvi ricorso, ove necessario”.

E’ stata provata l’esistenza della bustarella, i 5.000 euro in essa contenuti, il patto tra politico e mafiosi (è stata intercettata una chiamata che risale al giorno prima del voto) ma non è stata provata la modalità intimidatorio. Dunque, per Antinoro si è palesata una insperata possibilità di farla franca. Merito, come già detto, del cavillo della Legge sul voto di scambio. Anche perché la sua versione non regge assolutamente. I 5000 euro sarebbero stati per un medico, amico famiglia, e casualmente amico anche dei mafiosi che il politico ha incontrato. La bustarella sarebbe stata in verità un rimborso spese per l’impegno che il medico ha profuso nella campagna elettorale di Antinoro.

Giuseppe Briganti