Voto di scambio prospera dove c’è povertà: l’indagine di Repubblica

Il voto di scambio appartiene, purtroppo, alla vita politica del paese. E’ una pratica radicata un po’ ovunque, che fa addirittura parte dell’immaginario collettivo. Così come nell’immaginario collettivo fa parte l’episodio forse più famoso legato al voto di scambio, quello della scarpa che Achille Lauro, sindaco di Napoli negli anni ’50, dava agli elettori, promettendogli l’altra solo in caso di voto. Quel mondo, almeno secondo Repubblica, è scomparso per sempre. Il voto di scambio era inserito in uno sfondo che sapeva di riscossa imminente (il boom economico dell’Italia). Si accompagnava, in un certo senso, alla speranza. Dunque, si riduceva a essere un espediente per sbarcare il lunario, in attesa di una rivincita economica e sociale in cui potevano credere tutti.

Il ritratto che la famosa testata italiana dipinge del voto di scambio al giorno d’oggi è molto più tetra. In estrema sintesi, la recessione è diventata strutturale e con questa anche il voto di scambio. Se il legame tra povertà e corruzione nell’immaginario collettivo è assodato, lo è anche nell’indagine di Repubblica. Dove è più alto il disagio economico e sociale, maggiore è sia la percezione della presenza del voto di scambio sia la sua effettiva incidenza. Come viene ricavata questa evidenza? Semplicemente, viene considerata alta l’incidenza del voto di scambio in quelle città dove è stata registrata un’affluenza alle elezioni politiche inferiore a quella delle elezioni comunali. E’ logico: le politiche fisiologicamente richiamano più elettori e quando questo non succede è perché alle comunali ci sono le preferenze, che formano il terreno ideale per il voto di scambio.

E’ sufficiente dare un’occhiata alla tabella realizzata di Repubblica per farsi un’idea del legame tra povertà e voto di scambio.

Nelle città più ricche il differenziale tra le due affluenze è positivo, in certi casi abbondante. Nelle città più povere il differenziale è invece quasi sempre negativo, o positivo di molto poco.

Sicché, a Sondrio l’affluenza alle ultime elezioni comunali ha raggiunto il 59,5%, mentre nelle ultime elezioni politiche si è attestata al 75,9%, con uno scarto del 16,4.

A Reggio Calabria, di contro, alle elezioni comunali l’affluenza è stata del 65% mentre alle elezioni politiche del 63,2%, con uno scarto del -1,8%.

Tutte le città “benestanti” prese in considerazioni da Repubblica hanno fatto registrate un differenziale positivo di un paio di punti percentuali. Nella classifica dei “cattivi” la variabilità è più alta. Si va infatti ai quasi due punti di Reggio Calabria ai 7 di Messina e ai 15 di Crotone.

Le conseguenze del voto di scambio non sono solo morali, ma economiche. Se è la povertà il prerequisiti essenziale per comprare i voti, per quale motivo un politico dovrebbe impegnarsi per migliorare la situazione economia dei suoi concittadini? Federico Fubini, autore dell’indagine, parla apertamente di “conflitto di interessi, perché la povertà conferisce il controllo sull’elettorato”.

C’è però una soluzione. “Basterebbe mettere in un solo contenitore le schede di tutti i seggi prima dello scrutinio, in modo da impedire il controllo sui singoli elettori”.

Giuseppe Briganti