Combattere la corruzione nella PA: la ricetta di Raffaele Cantone

Tra le poche decisioni di una certa rilevanza che Renzi ha assunto, spicca la nomina di Raffaele Cantone di presidente dell’anti-corruzione. Un nome illustre, dall’alta statura morale (è stato magistrato in Campania) ma anche portatore di nuove idee. A quanto pare, ce la sta mettendo tutta per imprimere una svolta nella lotta alla corruzione che, in Italia, non è mai stata efficace. Nemmeno dopo Tangentopoli.

Ha ricapitolato la sua “ricetta” di recente su TgCom24. Lo ha fatto ai margini di un commento circa una iniziativa dell’agenzia delle entrate: la realizzazione di una casella di posta esplicitamente dedicata alle denunce di corruzione. In buona sostanza, i dipendenti della Pubblica Amministrazione (a tutti i livelli) che hanno assistito a fenomeni corruttivi e conoscano i nomi delle persone coinvolte, possono denunciare “segretamente” l’accaduto. Non si tratta di delazione, anche perché, pur mantenendo l’anonimato, chi denuncia ci mette la faccia.

Cantone ha plaudito a questa iniziativa: “E’ un invito alla collaborazione, non alla delazione. Si tratta di un invito alla responsabilità”. Il cavallo di battaglia del presidente dell’anti-corruzione rimane comunque l’agente provocatore. Da alcuni politici del centro-destra questa proposta è stata accolta come una sorta di manovra da stato di polizia (avranno la coda di paglia?) ma va ricordato che questa figura è presente anche in molti altri stati, tutti democratici, come gli Usa e la Gran Bretagna. Altrove è conosciuto con il nome di Wistleblower ed è, tra le altre cose, già presente nell’ordinamento italiano. E allora è utile: “per prevenire la corruzione bisogna attuare le norme per il wistleblower previsto dal testo unico dei dipendenti pubblici per consentire a chi vuole denunciare illeciti di farlo in modo tutelato”.

Cantone ha anche parlato della riforma Renzi – del cui testo ancora non si sa nulla. Il suo parere per ora non è negativo, ma nemmeno granché positivo: “Sono un primo passo apprezzabile, ma a mio avviso servono altre cose ma dobbiamo attendere cosa ci riserverà lo sviluppo parlamentare. Se la corruzione è lo strumento privilegiato delle organizzazioni mafiose moderne, va combattuta con gli stessi strumenti con cui si combattono le mafie”.

Equiparare i reati legati alla corruzione ai reati mafiosi vuol dire imprimere una svolta nel senso del pentitismo: “Occorre prevedere la premialità per chi collabora con la giustizia, permettere di effettuare operazioni sotto copertura e che i termini d’indagine e delle intercettazioni siano più lunghi. Gli strumenti normativi ci sono già. Hanno funzionato contro le organizzazioni mafiose e devono poter essere utilizzati nei confronti dei corrotti quando si dimostrino casi gravi di corruzione e fenomeni corruttivi legati al modo di operare dei criminali”.

Giuseppe Briganti