Maxi Tangente Enimont

Nel 1990 Raul Gardini ordina ai suoi top manager Giuseppe Garofano e Carlo Sama, di mettere insieme una provvista di fondi neri per almeno 140 miliardi di lire da destinare ai partiti, in cambio della legge sulla defiscalizzazione della quota dell’ Enimont che il gruppo Ferruzzi rivende all’Eni a prezzi gonfiati. Se ne occupa il consulente della Montedison Sergio Cusani, grazie all’aiuto del costruttore romano Domenico Bonifaci. Questi vende a due consociate Montedison altrettante società di sua proprietà a un prezzo enormemente superiore al valore reale: circa 140 miliardi in più. Poi trasforma quell’enorme differenza in Bot e Cct e la restituisce a Cusani. Dopodiché, bisogna trovare il modo di riciclare quella montagna di titoli di Stato. E ovviamente negoziarli presso qualche banca. Monetizzarii, trasformarli in contante, così da far perdere le tracce della loro provenienza. Entra allora in scena un buon amico di Cusani, un giornalista dell’Ansa diventato responsabile delle relazioni esterne dell’Enimont: Luigi Bisignani, già iscritto alla loggia P2, grandi entrature presso lor Santa Sede e, soprattutto,
presso monsignor Donato de Bonis, alto dirigente dello lor, la banca del Vaticano. Bisignani si rivolge allo Ior e ottiene quel che vuole: cambiare gran parte dei titoli (91 miliardi) in contanti e girarne il controvalore su conti di banche estere per girarli – almeno in parte – ai politici più in vista del governo e della maggioranza dell’epoca. II resto dei titoli viene consegnato direttamente ad alcuni destinatari, che provvederanno a metterli all’incasso: 3 miliardi e 400 milioni al “re del grano” Franco Ambrosio, che li cambia per conto dell’amico Paolo Cirino Pomicino; 4 miliardi al presidente socialista dell’Eni Gabriele Cagliari, tramite un collaboratore;
900 milioni alla moglie del ministro delle Partecipazioni statali, l’andreottiano Franco Piga; un miliardo al vicepresidente democristiano dell’Eni Alberto Grotti e così via. La caccia dei giudici di Milano al tesoro della maxitangente non permetterà di ricostruire i destinatari di tutte le mazzette, mancheranno all’appello ben 75 miliardi, distribuiti «a uomini politici non individuatil>. Cusani, chiuso nel suo silenzio ieratico, rivelerà poco o nulla, trincerandosi dietro il <<segreto professionale>>, e dirà di aver versato 63 di quei 75 miliardi a non meglio precisati
“fiduciari di Gardini» a Montecarlo. Alla fine, comunque, almeno qualche somma viene attribuita con nomi e cognomi. A Craxi vengono contestàti quasi 11 miliardi (7,5 per lo scioglimento di Enimont più 3,4 per le elezioni politiche del 1992). A Citaristi e Forlani 8 miliardi (6,5 più 1,5). Al Pci un miliardo consegnato personalmente da Gardini a Botteghe Oscure (a chi non si sa, perché il <<corsaro» è morto suicida prima di raccontarlo). Poi ci sono i «regali>> a singoli politici: 5,5 miliardi in tutto a Cirino Pomicino,500 milioni al socialista Claudio Martelli, 100 al repubblicano Giorgio La Malfa, 50 ai liberale Egidio Sterpa, 100 a Pillitteri (poi assolto), 100 al socialdemocratico Carlo Vizzini (poi salvato dalla prescrizione), 100 a De Michelis.200 milioni al liberale Renato Altissimo, 200 ai capo della Lega nord Umberto Bossi.Al processo Cusani, chiamati a testimoniare da Di Pietro, i politici
incriminati confessano tutti. Confèssa Craxi, Confèssa Bossi col suo cassiere «pirla» Alessandro Patelli. Confessa Martelli (anche se tenta di accreditare la balla secondo cui Sama gli aveva garantito che i 500 milioni che gli passava in nero erano soldi suoi e non della società). Confessa con la consueta sfrontatezza Pomicino: quando Di Pietro gli contesta Unna stecca da 3 miliardi, lo corregge puntiglioso per non fare la figura del pezzente: «No, guardi. dottor Di Pietro, i miliardi erano 5 o poco più. ».