La Pubblicità non è più solo l’anima del commercio, ma del potere

Incredibile scoperta scientifica, Mediaset saliva solo se al Governo c’era Berlusconi

Di Piero Di Caterina e Laura Marinaro

Nel nostro blog Cosapubblica abbiamo riportato una riflessione che dovrebbe rappresentare sempre il vademecum per la lotta all’abuso: “L’inchiesta è la paziente e ostinata fatica di scoprire, capire e portare alla luce i fatti, di impedire che siano tenuti nell’occulto e cammuffati con la manipolazione e la menzogna. Mostrarli nella loro condizione più visibile e comprensibile, nell’interesse dell’opinione pubblica, della democrazia e della cosa pubblica”. Una rivalutazione delle spie. Fin da quando abbiamo iniziato a parlare di corruzione, concussione e conflitto di interessi, di abuso e manipolazione della funzione pubblica, abbiamo detto che è inutile combattere la corruzione solo attraverso l’azione dei magistrati, quasi sempre basata sulla scoperta del passaggio diretto di denaro tra concusso o corrotto e pubblico ufficiale. Perché questo passaggio ormai, almeno da un certo livello in su, non avviene più, ed è una pratica più che altro relegata alla corruzione periferica fra i pesci piccoli. Ai piani alti delle stanze del potere e dei crimini predatori, il politico di grosso calibro ormai non tocca direttamente una lira. I soldi li fa toccare ad altri, oppure arrivano ad altre mani e in altro luogo. Spesso anche il sindaco di periferia, normalmente se non è uno sprovveduto, non si mette in tasca la busta. Lui, al massimo, intasca l’argent de poche, i soldi per i bisogni quotidiani, perché il grosso del malloppo lo fa incassare agli amici o agli amici degli amici, ed è diffusissimo il found raising locale attraverso la pubblicità sui giornalini di quartiere, che vengono letti al massimo dagli amici del bar o della parrocchia, ma che a volte hanno costi analoghi a quelli delle più prestigiose testate internazionali. Se ci pensate, più di un sindaco nel bel Paese un paio di giornalini se li crea sempre… Oggi le nostre tesi vengono addirittura confermate da quattro prestigiosissimi economisti di fama mondiale. Gli stessi hanno appena pubblicato uno studio “Market Based Lobbyng Evidence from Advertising Spending in Italy”. In pratica una ricerca che analizza i flussi di denaro sborsati da un campione di 800 aziende per la pubblicità sulle reti Mediaset, negli anni dal 1994 al 2009, quelli in cui Berlusconi era Premier. Il risultato scientifico è incredibilmente affine a quanto da noi affermato nei vari dibattiti e nei ragionamenti che poi hanno portato alla pubblicazione de Il Sistema Corruzione, un libro tenuto ai margini dalla stampa di servizio, ma molto interessante per la conoscenza della corruzione. Lo studio dei quattro economisti – più difficilmente confutabile rispetto alle nostre affermazioni – ha stabilito che tutte le volte che Silvio Berlusconi andava al potere, i contratti pubblicitari pagati dalle aziende alle sue reti salivano di 120 – 130 milioni di euro rispetto a quando lui ritornava al palo. Quindi, complessivamente, Mediaset avrebbe incassato in spot oltre un miliardo in più rispetto a quando Silvio era solo un imprenditore. Sulla base dei dati rilevati, emerge che mentre governava il centrodestra, saliva la pubblicità di Mediaset e scendeva quella della Rai, addirittura partendo dalle campagne elettorali di Berlusconi. Mediaset, rispetto alla Rai, in questi periodi, passava dal 62% al 69%, durante la legislatura 2001, per poi tornare a livelli precedenti durante il governo Prodi, ovvero fino al 2008, e risalire al 70% quando Berlusconi saliva ritornava al comando. Un risultato sorprendente che mostra inequivocabilmente che, chi aveva bisogno di provvedimenti legislativi dal Governo, era pronto ad armarsi di una borsa della spesa in pubblicità più grande degli altri. Dallo scaffale poteva scegliere tra comprare più spot, o acquistarne a prezzo maggiorato su Mediaset, spostandoli anche dalla Rai dove forse avrebbe speso meno. In questo caso è evidente la possibilità che i gruppi che hanno adottato una spesa più disinvolta verso Mediaset, possono aver danneggiato oltre che la Rai, anche altre imprese, magari migliori o più utili per l’economia, con evidente distorsione della concorrenza. “L’investimento pubblicitario aggira gli obblighi di trasparenza di finanziamento ai partiti ma può rivelarsi molto efficace” dice Ruben Durante, economista di Yale. Mentre il collega Stefano Dalla Vigna ammette: “Uno scambio di affari e favori tra società di Berlusconi e altre aziende è legale, ma solleva conflitti di interesse di tipo nuovo”. Della Vigna non conosce le nostre sgangherate leggi anticorruzione, perché altrimenti avrebbe dovuto fare una riflessione su quella norma che recita che “nella corruzione il pagamento o le utilità possono essere effettuate o promesse al pubblico ufficiale o ad altri”. Altra prova provata della necessità di volontaria sottomissione al potere di queste aziende è data dal confronto tra le aziende che si sono affrettate ad investire in pubblicità mediaset (del settore delle telecomunicazioni, delle banche, delle assicurazioni, della finanza e dell’industria assistita), e quelle che non si preoccupavano di spendere di più dopo il cambio della guarda (produttrici di beni di largo consumo (giocattoli, detersivi, abbigliamento…). La seconda riflessione: i passaggi pubblicitari in più per i media significano tutti denari netti, guadagno senza costi. Perché tanto i format sono stati creati per le quantità inferiori preventivate e nessuna spesa è sostenuta per incrementare la ripetizione dei passaggi tv. I quattro economisti hanno qualificato il tutto come lobbyng indiretta. Definizione che coincide con quanto da noi teorizzato sulla cosiddetta corruzione indiretta pagata attraverso le triangolazioni o con forme geometriche più sofisticate e munite di molti più lati. Un sistema che consente pagamento e incasso delle tangenti a prova di bomba. In conclusione: il cittadino va dal politico, o risponde alla sua chiamata, rappresenta le sue esigenze che vanno dal bisogno di legalità nella competizione del mercato pubblico, fino alla volontà di associazione a delinquere con lui, per alterare il gioco dell’economia pubblica di appalti, concessioni, tariffe, concorsi. E’ solo dopo queste tresche che il pubblico ufficiale dà a lui udienza, soddisfa i suoi bisogni e lo indirizza allo studio X per la progettazione edilizia, al giornale Y per un po’ di pubblicità, alla cooperativa Z per un subappalto, all’avvocato K per una consulenza o per risolvere complicati contenziosi. Per chi non ha la forza di gestire le operazioni, c’è a disposizione una fitta rete di professionisti da riporto che si fa carico di giungere al risultato. Così va il mondo. In Italia. Dove il lobbismo vero e normato non esiste e si chiama ancora – quando si paga con voti, con i corpi o con i soldi – corruzione e concussione. . Su Berlusconi e le sue aziende ci siamo. Adesso bisogna studiare gli altri casi e ci vorrebbe un esercito di scienziati e spioni.

02/01/2014

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