Mafia e corruzione secondo Piero di Caterina

Mafia e corruzione sono parenti, ma è tutto da vedere quale dei due parenti abbia il grado più alto”. Con questa frase Piero Di Caterina, presidente di CosaPubblica e grande accusatore di Penati, ha sintetizzato il rapporto tra mafia e corruzione nel corso del convegno tenutosi il 29 ottobre al Circolo della Stampa. L’imprenditore ha affermato che mafia e corruzione, oggi, sono la stessa cosa. Hanno gli stesso obiettivi, agiscono negli stessi ambiti. Spesso si fondono assieme, rendendo quasi impossibile ogni distinzione. Dei due, a Di Caterina “sta più a cuore” la corruzione. Anche perché l’ha vissuta in un certo senso da vittima e poi da accusatore. Il suo è un punto di vista forse pessimista ma procede dall’esperienza di chi, da uomo d’impresa, ha dovuto sempre avere a che fare con questi fenomeni per poter sopravvivere nel mercato.

“La cifra dei 60 miliardi è falsa”. Non è vero che il giro di affari della corruzione in Italia si attesta intorno ai 60 miliardi. Questo numero, diffuso da svariate ricerche di enti internazionali, è sbagliato. Si fonda infatti su una metodologia che non comprende l’osservazione ma la percezione. 60 miliardi è il volume percepito dai cittadini, non quello reale.

In ballo c’è molto di più.

Il problema è che le vere dimensioni della corruzione in Italia non sono, per adesso, verificabili. Una cosa però è certa: il vero buco nero sono le aziende pubbliche, teatro che ospita gli scambi illeciti, le cui vicende sono spesso coperte dal segreto o dalla capacità, dei corruttori e dei corrotti, di commettere reati senza infrangere la legge. La forma è legale, la sostanza è criminale. E’ questa l’opinione di Di Caterina. Lui stesso ricorda :“davamo ai politici la mazzetta sotto forma di premio, in modo che non potesse risultare la tangente”.

Uno dei motivi per cui il fenomeno non è tuttora conoscibile nelle sue dimensioni è la mancanza di controlli. Non c’è trasparenza, mancano i dati, dunque non è possibile ricavare il dato sull’illecito. E’ questo il nucleo attorno al quale, secondo Di Caterina, occorre sviluppare la lotta alla corruzione. “Il diritto di interferenza è l’unico modo per sconfiggere la corruzione. Se la trasparenza fosse elevata, il cittadino potrebbe spontaneamente realizzare azioni di intelligence”. E’ la strategia dell’Osint, che negli Stati Uniti e in Gran Bretagna sta dando ottimi risultati. In buona sostanza, le forze dell’ordine “si appoggiano” alle fonti pubbliche, che comprendono anche il prodotto del monitoraggio realizzato dai cittadini.

Prima di pensare all’Osint è necessario liberare lo scenario da alcuni vincoli. Come quelli che rendono estremamente indesiderabile, per il cittadini qualunque, denunciare gli episodi di corruzione che subiscono. E se gli episodi non emergono, la popolazione non può materialmente conoscere il fenomeno. Il problema “dell’indesiderabilità” è molto grave, anche perché il cittadino è spesso costretto a dare la mazzetta al politico di turno per poter anche solo competere con pari diritti nel mercato. Se denuncia, però, va comunque a processo. Dunque, il pensiero che molti fanno è: “chi me la fa fare?”. Un pensiero che Di Caterina non ha fatto. Il Sistema Sesto è emerso grazie alla sua testimonianza.

Giuseppe Briganti