Il disastro della metro C di Roma, tra malapolitica e burocrazia elefantiaca

Le opere pubbliche in Italia rappresentano un capitolo preoccupante. Spesso sono inutili, dannose o nella migliore delle ipotesi semplicemente troppo costose. Il discorso peggiora quando si parla di trasporto pubblico. Una situazione emblematica è rappresentata dalla linea C della metropolitana di Roma. Un opera difficile di suo, essendo “Roma sotterranea” un luogo ricco di criticità, ma che in Italia si è presto trasformata in una vera e propria odissea.

La conseguenza più pericolosa è il fiume di denaro perso a causa una gestione dei lavori così pessima da far gridare allo scandalo. Per ora i numeri dicono di una differenza tra il pianificato e l’effettivo di oltre mezzo miliardo di euro. Erano stati stanziati qualcosa come 3,04 miliardi, cifra giù alta di suo (praticamente 130 milioni per ogni chilometro di linea). Ebbene, ne sono stati spesi già 3,7 senza che l’opera abbia visto la luce nella sua completezza.

La conseguenza più evidente è invece il ritardo nei lavori. Secondo le ultime previsioni la metro dovrebbe essere completata entro marzo 2015. Questa data appare oggi assolutamente irrealistica. Attualmente è pronta solo al 60%. Dei 24 tratti previsti, solo 15 sono attivi. Il problema è che non ci sono gli estremi per un completamento nel breve termine e nemmeno nel medio termine. Proprio quella parte di linea è vittima di discussioni, rallentamenti e di autorizzazioni che non arrivano. Il pacchetto di tratte incriminato è quello che dovrebbe trasportare gli eventuali passeggeri da un estremità all’altra del centro più antico di Roma e quindi attraverso snodi di grande importanza come il Colosseo, Corso Venezia, Corso Vittorio Emanuele e San Pietro.

Il motivo del ritardo è a questo punto facilmente intuibile: l’incapacità di offrire e – soprattutto – realizzare soluzioni che siano compatibili al rispetto della dimensione storica di Roma. Il sottosuolo della Città Eterna è una sorta di magazzino di opere d’arte ancora da scoprire ma questa non rappresenta una giustificazione. Si poteva e si doveva trovare un tragitto che limitasse al minimo i danni. In effetti, di soluzioni ne sono state trovate, e per giunta in quantità. Negli ultimi sette anni sono state proposte qualcosa come 45 varianti, a dimostrazione sia della fattibilità dei lavori sia di una certa volontà nel far lievitare i costi.

A far luce su quest’ultimo aspetto è stato il team di Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità Anti-Corruzione. Il lievitare dei costi è stato causato proprio dall’eccessivo lavoro di consulenza in questo senso. Per il resto, l’ANAC rimprovera al Comune le responsabilità più grosse, colpevole di non aver realizzato “adeguate indagini per assicurare la fattibilità dell’intervento nel rispetto dei tempi e dei costi preventivati”.

Insomma, se il Comune avesse accertato entro tempo debito la reale possibilità di realizzare quel tratto in particolare, Roma si sarebbe risparmiata la spesa per la pianificazione delle 45 varianti.

Il problema comunque è ancora irrisolto: non si sa se la parte centrale della linea C verrà effettivamente realizzata. Causa di questa incertezza è anche la stazione appaltante che, sempre secondo Cantone, è colpevole in quanto “si è avventurata nell’appalto dell’opera rinviando la risoluzione della questione archeologica a una fase successiva”.

Giuseppe Briganti